Quella brutta ombra che continua a soffocarmi dev’essere sconfitta. Deve. Lei dice che non posso aver paura, visto che non sono solo. E che essendo parte di un tutto, come lei e come tutti, devo solo ricordarmene sempre e riconoscerlo. Guardare l’esterno, la morfologia, può aiutare: gli alberi, le colline, un torrente, o il mare. E naturalmente il cielo, e poi le parti di me stesso. Le mani, ad esempio, secondo lei sono una testimonianza del mio valore, perché è con quelle che ho creato le cose, anche semplicemente facendo scorrere la penna. Se non riesco a lavorare, devo distrarmi, pensare al fuori da me, all’alterità del mondo. Questo dice lei: fare qualcosa, senza fermarsi, e guardare l’alterità, attribuendole le proprie proiezioni, spargendovele senza paura, per poi guardarne l’effetto. La frammentazione consente d’indebolire la paura e di recuperare la visione reale, nelle sue componenti. Seguire la respirazione, mentre accade tutto questo, è fondamentale: riprenderne la fluidità e non permetterne più la sincope. Devo anche rileggere le sue lettere, dice, per sentire quanta vita ho nutrito intorno a me. Non siamo inutili, nessuno è inutile, dice. Ne è sicura.