Accade di trascorrere anni sentendosi distolti da ciò che veramente si vuole, da ciò che si sente come la propria vocazione. Si pensa che se si avesse più tempo a disposizione ci si potrebbe dedicare a ciò che veramente si desidera. Poi, quando questo tempo lo si riesce a conquistare, uno stato d’impreparazione, o di rilassamento, o di distrazione sembra aver annullato il desiderio e la volontà. Così, la vocazione non pare più tale, oppure si tratta solo di ritrovare se stessi. Prima si lavorava tanto, anche in modo cinico e spregiudicato, e ci si era persi. E adesso si è ancora disorientati e lontani dal proprio “sè”, non solo a causa di situazioni esterne, ma anche perché concentrarsi su di sé è difficile e doloroso. Così ci si trova sempre a distrarsi, a pensare ad altro, magari anche cose belle e importanti, anelate, ma questa distrazione fa sì che tutto intorno sembri perdere senso, diventi faticoso e senza scopo tangibile, senza focalizzazione, senza spinta interiore a impegnarsi per qualcosa. Si pensava che nella letteratura potesse trovarsi la salvezza, invece non la si è trovata, e la presunta vocazione s’è rivelata fallace. Ma scrivere è anche catartico, purifica, e al di là di tutto sarebbe una fatica benefica.
ottimo “pezzo”. Bravo!